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CASERTAVECCHIA, IL RISORGIMENTO E L'ATTORE CASERTANO MASSIMILIANO DAU

Mille miglia distanti dalla sottocultura che il primo cittadino di Caserta infittisce progressivamente con le solite proposizioni evirate diffuse quotidianamente per sottrarre all’attenzione della popolazione la reale percezione dei problemi del capoluogo, ci piace rammentare alle esigue cerchie di persone sensibili e acculturate del nostro territorio i legami esistenti fra Casertavecchia, il Risorgimento e certi validi artisti della nostra terra dei quali, a torto,  si parla e si sa molto poco, nonostante successi e riconoscimenti. Durante il periodo risorgimentale Casertavecchia fu teatro di scontri memorabili fra il reggimento della divisione capeggiata dal generale garibaldino calabrese Francesco Stocco e l’esercito borbonico guidato dal generale Perrone. La battaglia in specie, tenuto conto del valore e dell’audacia dimostrata dall’intrepido condottiero garibaldino, ne predispose la promozione al grado di Maggior Generale dell’Esercito dell’Italia Meridionale con decreto del 16 ottobre del 1860 sottoscritto a Napoli da Garibaldi in persona. Dunque il borgo medievale emerge non soltanto per i fasti delle gesta eroiche di guerrieri nordici e le mirabili opere erette  tra le mura fortificate dai Normanni, successivamente consegnate  alla comunità integre e per nulla scalfite dal tempo, ma pure per uno stralcio significativo della storia d’Italia incentrato sull’eroismo di Francesco Stocco. Egli, tuttavia, fu tacciato con l’epiteto di agitatore influente capace di esercitare poteri occulti fra le masse e di sobillare e armare la popolazione contro le Truppe Regie solo perché i suoi virgulti rivoluzionari destavano non poche inquietudini nella monarchia e in chi se ne serviva per innalzare la propria egemonia. La comunità asettica e apatica di Terra di Lavoro, prigioniera del cronico letargo che l’attanaglia da tempo immemore, dovrebbe essere a dir poco orgogliosa di celebrare l’eroismo di un personaggio così interessante, valorosamente passato per le strade della splendida Casertavecchia, onde poter attingere dal generale tutto l’impeto e la grinta che non ha mai palesato realmente per affrancarsi dalla  cronica strumentalizzazione politica locale. Allo stesso modo la disastrata città di Caserta dovrebbe essere  culturalmente grata ad un rutilante artista del luogo che lo scrivente si fregia di conoscere e stimare sin dai tempi dei condivisi studi elementari, l’attore e regista Massimiliano Dau. Questi si distingue per aver saputo interpretare e raccontare appassionatamente nei panni del brigante Caruso, il fenomeno del Risorgimento in chiave critica e disincantata, unitamente ad una pletora di brillanti giovani attori, al camaleontico Massimo D’Apporto che non ha certo bisogno di presentazioni e ad un altro generale, “Il generale dei Briganti”, nell’omonima prima tv andata in onda su Raiuno l’anno scorso in due puntate per la regia di Paolo Poeti. Il personaggio del brigante Caruso (Massimiliano Dau) è senz’altro quello più intrigante, ma anche quello più lucido, truce e tremendamente attuale, avendo dimostrato con tempismo algido e spietato di aver compreso con vigile oggettività che né Garibaldi nè le idee mazziniane di unità nazionale avrebbero mai fatto dei contadini dei proprietari terrieri, di briganti e meridionali uomini liberi e soprattutto degli innumerevoli privilegi che la monarchia assegnava utilitaristicamente a conti, nobili e signorotti, tabula rasa. E’ solo per salvarsi la pelle e sollevarsi dal carcere, non tanto perché è un vile e volgare traditore, che Caruso scende a patti con l’ex consigliere del re, promosso questore nel nuovo ordine conservativo costituito, svelandogli i nascondigli dei suoi compagni briganti al fine di consentirne la cattura. Gli stessi briganti che Caruso ebbe cura di definire emblematicamente “uomini già morti prima ancora di essere catturati”, come del resto chiamerebbe oggi chi ingenuamente sfida il potere e la finanza stringendo patti con voltafaccia e interlocutori inaffidabili come i nostri amministratori. In verità il brigante ha preconizzato con fulminea perspicacia che la causa della giustizia sociale, sbracatamente sbandierata dai moti mazziniani e quella dell’Italia unita, perorata da Garibaldi, che gli avrebbero concesso l’amnistia in cambio di supporti militari,  sono poco più di una chimera o, peggio ancora, uno spregevole bluff. Il volto teso dallo sguardo arcigno e diffidente di Caruso interpretato magistralmente dall’attore casertano Massimiliano Dau non cela neppure per un istante che, in seno alla propaganda politica e alle fatue esaltazioni delle lotte popolari si annida l’insidia dell’inganno di chi ha progettato un cambiamento solo presunto che finirà inevitabilmente con il consolidamento di  vecchi potentati, sperequazioni, contraddizioni e  disuguaglianze, poi drammaticamente acuite sino ai nostri giorni. Cinico, ma al medesimo tempo intransigente e pragmatico il personaggio Caruso espresso con dovizia di particolari da Massimiliano Dau non perde mai colpi, affina piuttosto carattere ed indipendenza quando fumacchia un sigaro a denti serrati in segno di profondo sospetto nei confronti di quelle insolite e anomale alleanze configurate in base al tornaconto dei poteri forti, sordidamente camuffate da sentimenti democratici e unitari che ha dovuto accettare obtorto collo solo per continuare ad essere quello che è sempre stato, un brigante. La fredda circospezione, l’istinto di sopravvivenza e la fede negli ideali popolari e libertari tipici del brigantaggio piuttosto che nelle spinte ondivaghe, mistificatorie e mendaci della presunta politica condivisa reclamizzata anche oggigiorno, non fanno certamente del personaggio Caruso un eroe ma, almeno, un soggetto degno di nota. Gli anni che si susseguirono sino al 1866 rivelarono ben presto un lavacro di nefandezze sorretto da despoti vecchi e nuovi, sinergicamente riuniti in un’unica terribile realtà passata alla storia per linciaggi, giustizia sommaria, deportazioni, onerosi balzelli e ruberie ai danni della povera gente. Il brigante personificato da Massimiliano Dau deve averlo compreso prima, come deve aver capito anche le ragioni della tresca ordita vicino a Cosenza da generali garibaldini e voltagabbana filoborbonici finalizzata alla smobilitazione borbonica in cambio di favori, rendite e adeguate contropartite per i vecchi marpioni. Tanto valeva assicurarsi la vita e la libertà, deve aver pensato Caruso che aveva già prefigurato l’Italia Unitaria come l’orpello di un retaggio di tracotanza e sfruttamento dei meridionali ad uso e consumo di settentrionali, piemontesi e noti lestofanti che avevano solo cambiato casacca e alleati.  Caruso, comunque, è chiaramente riconoscibile per essere un uomo che antepone la vita e la libertà personale ai falsi ideali, dapprima inculcati alacremente e poi svenduti come prodotti scaduti e contraffatti per abbindolare le coscienze e soggiogare le fasce deboli della popolazione. Ma la controversa parte di Caruso, recitata peraltro da Massimiliano Dau con netta disinvoltura e solerte maestria, si distingue a parere dello scrivente anche per essere quella di un uomo capace di riconoscere la strumentalizzazione di uno Stato grottesco che ieri come oggi buggera, vessa e raggira con trucchi, guitti pretesti e macilenti contentini i sudditi cittadini, ai quali confisca spietatamente tutto quello che può, anche la vita e la dignità quando occorre, da torvo e miserabile usuraio quale è sempre stato. Scaltro com’è il brigante Caruso identificherebbe i corsi e i ricorsi della sua storia che si replicano sistematicamente anche oggi, guardandosi le spalle da ingordi panciafichisti e voraci parassiti che sventolano ipocritamente il vessillo tricolore di una repubblica sempre più guasta e appestata. “Dobbiamo essere  crudeli. Dobbiamo esserlo con la coscienza pulita” scrive l’artista  casertano Massimiliano Dau nell’incipit di un noto spettacolo teatrale, dedicato alla seconda guerra mondiale di cui è regista e mirabile interprete. Occorrono davvero poca fantasia e ridottissimi sforzi per adattare la predetta brillante intuizione anche all’attuale stato di diritto e all’odierna democrazia che legittima in religioso silenzio protervia, angherie e soprusi in ogni alveo della quotidianità perché ha bisogno di indigenza, precarietà, dolore e morti per fingere di essere in vita. Grazie, caro Massimiliano, di aver forgiato con l’ estro di sempre maschere e ruoli senza tempo né limiti interpretativi per chi non ha ancora abdicato alla riflessione e al pensiero in favore della cachessia e della decadenza dilagante: in ogni tuo personaggio riesci a sposare come per incanto Cultura e Coscienza.

Nando Silvestri www.casertanewseconomia.jimdo.com/Gazzetta di Caserta Antica

Articolo pubblicato anche sui magazine campani e nazionali Nationalcorner, Paesenews e Il Nuovo Picchio

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