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Buoni Sconto, boom in provincia di Caserta: ecco le premesse per le Monete Locali

Da alcuni anni la provincia di Caserta e quella di Napoli si distinguono per fenomeni economici ben più edificanti di quelli catastrofici che siamo normalmente abituati ad apprendere dai notiziari e riguardano l’incremento esponenziale dell’uso di coupon e buoni sconto per l’acquisizione di beni e servizi di ogni tipologia. Su internet, giornali e riviste abbondano difatti le opportunità di fare affari d’oro aggiudicandosi utili tagliandi, materiali e virtuali, che consentono ai consumatori il libero accesso a prodotti vari a prezzi convenienti o addirittura stracciati. Forbici alla mano dunque e “occhio vivo” come diceva il commissario Manara, l’occasione potrebbe nascondersi in un riquadro del web o al margine di una pagina di un inserto. I coupon innescano complessi meccanismi induttivi che avvicinano gli esercenti ai consumatori e ne promuovono le offerte, incentivando la fidelizzazione, l’espansione pubblicitaria, le economie di scala, il miglioramento del rapporto qualità/prezzo dei beni e le esternalità positive connesse all’imposizione del marchio e della ditta nell’immaginario collettivo. Dalla cena a lume di candela a base di carne o pesce al biglietto aereo, dalla visita odontoiatrica con annessa pulizia dei denti al lavaggio dell’auto sino al weekend in hotel con formula all inclusive; il novero delle prospettive a disposizione della clientela è vasto e assortito come del resto quello a favore delle piccole imprese che le offrono attraverso la reclame. Il segreto del successo della pletora di accessi alle promozioni succitate risiede nella lungimiranza dei piccoli imprenditori effettivamente disposti ad iscriversi a circuiti commerciali e reti informatizzate in grado di attribuire reale e consolidata visibilità ad un esercizio commerciale in cambio di un piccolo sacrificio. Non si tratta di blanda pubblicità fine a se stessa, non di rado sterile e improduttiva sul web come sulla carta. Si fa riferimento piuttosto ad un programma articolato e strutturato fondato sulla condivisione e sulla mutualità che spiana l’iter della crescita degli affari nel medio e lungo periodo, implicando spesso benefici ulteriori come la liquidità degli incassi e l’avvicinamento della domanda all’offerta. I succitati elementi di condivisione, mutualità e concordata rete di accordi sono altresì alla base di innovazioni finanziarie promosse da istituzioni e consorzi già da alcuni anni con mirabile successo in Sardegna, America, Paesi Bassi, Francia, Austria, Germania, Australia e Giappone. Tali  novità  vengono denominate in maniera quasi provocatoria ma del tutto appropriata e puntuale “Monete Locali”. Non si tratta di una farneticazione antieuropeista come sprovveduti ed ignoranti hanno provato inutilmente a denunciare, rilevandone a torto e senza cognizione di causa la presunta incompatibilità con la moneta unica e la stabilità del potere di acquisto. Si tratta invece di pure intese multilaterali in ragione delle quali esercenti di vario rango ed ordine, imprese appartenenti ad un circuito territoriale integrato ed istituzioni locali come i comuni possono profittevolmente scambiare tra loro disponibilità materiali ed immateriali, beni e servizi, la cui fruizione avvia un meccanismo moltiplicativo virtuoso imperniato sullo stimolo dei consumi e delle vendite. Nel mondo ci sono oltre 5000 monete locali che si integrano perfettamente con le valute nazionali, incoraggiando la cooperazione, la socialità e i consumi sostenibili. In Belgio ci sono addirittura due forme di pagamento ampiamente diffuse complementari all’Euro ascrivibili a monete locali: il Toreke e la Minuto. L’origine delle monete locali in Italia va ricercata negli anni 70, allorquando le banche emisero mini assegni circolari per far fronte alle difficoltà di negozianti ed esercenti in ordine all’esigenza di corrispondere il resto al cliente. L’idea nacque dal bisogno manifestato dalle associazioni dei commercianti, che fecero pressione sulle banche perché, vista la grave carenza di spiccioli, dare il resto era diventato un incubo. In quel periodo si usava di tutto, dalle caramelle alle penne, dai francobolli ai gettoni. Così le banche iniziarono ad emettere assegni circolari di 100 lire, cinquanta, ecc. Dunque moneta informale in linea con quella virtuale di bancomat e carte di credito alla quale il sistema capitalistico però ci ha abituati da decenni al dissacrante scopo  dell’asservimento finanziario. Per avere un’idea approssimativa dei punti di forza connessi alle monete locali basterebbe pensare, ad esempio, che ditte e cittadini impegnati in lavori pubblici potrebbero essere compensati in monete locali da spendere per servizi urbani di cui necessitano come la concessione in affitto di un terreno pubblico per realizzare un orto od un’attività economica, l’acquisto di un abbonamento al trasporto urbano, buoni pasto, biglietti del cinema e consumazioni in bar e locali aderenti al circuito. In questo contesto  così ampiamente variegato nel suo interno, si potrebbe agevolmente mettere in gioco tutto quanto è nelle facoltà e nelle conoscenze di un individuo: dalle lezioni private ai lavori di manutenzione domestica, dal commercio di abbigliamento ai servizi contabili ed informatici. In città belghe con un numero di abitanti non superiore a quello della città di Caserta, orientamenti basati sullo sviluppo di intese e monete locali hanno incentivato e continuano ancora oggi a stimolare la crescita e la rimessa in gioco degli scambi nelle comunità locali, valorizzando perciò luoghi, cultura, agricoltura e artigianato locale. Le Monete Locali finiscono inevitabilmente col conferire maggiore slancio alle economie locali depresse dai fenomeni globali come la grande distribuzione, tangibile dignità e nuova linfa alle differenti attività del territorio. Gli amministratori locali belgi però, a dispetto dei nostri che dell’economia conoscono solo gli aspetti più turpi ed aberranti del proprio tornaconto, sono poco avvezzi a volgari forme di avidità egocentrica e, soprattutto, a qualunque forma di appropriazione di risorse pubbliche. La crescita è quindi una questione di etica oltre che di cultura.

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