Grazie alla sua notevole estensione la provincia di Caserta non è solo un’area compresa nei territori infestati dai rifiuti di ogni tipo, più marcatamente riferibili a quelli della provincia di Napoli. Non è solo suicidi indotti dall’insolvenza e dall’austerità economica in sconcertante numero, dei quali nessuno parla più per il timore di ubriacarsi di obiettività e di offuscare il mantra mediatico dell’immigrazione. Il vino, quello buono, è ancora l’inchiostro nobile e decantato con il quale firmare difatti l’autenticità dei caratteri del territorio casertano e delle sue storiche vocazioni. Il settore vitivinicolo casertano rappresenta in special modo oltre il 20% di quello campano e, per fortuna, è attualmente interessato da una crescita di tutto rispetto, meritevole di premure da parte di organi competenti, istituzioni e università, ancora latitanti. E’ il caso di alzare i calici e brindare quindi, anche secondo Coldiretti che esalta i risultati della vendemmia campana del 2013 e al tempo medesimo la qualità emergente e il prestigio che alcuni vini della provincia di Caserta stanno lentamente conseguendo, unitamente ad importanti riconoscimenti come il marchio “Doc” e “Igt”. Infatti, la produzione vinicola del casertano è attendibilmente aumentata in linea con il crescente trend regionale del 15%. Mediamente più alto di quello nazionale, l’incremento produttivo del settore vitivinicolo campano emerge anche grazie ad una maggiore piovosità delle stagioni e ad un maggiore dinamismo, soprattutto per quanto concerne le valide prospettive dettate dall’esportazione. Il viaggio nell’enologia casertana è lungo e variegato, vantando sapori per tutti i gusti e per le molteplici esigenze gastronomiche contemplate a livello nazionale. Dai vitigni del Matese, cosiddetti minori solo per i più esigui quantitativi di buon vino prodotti a quelli Doc dell’Asprinio di Aversa, del “Galluccio” di Roccamonfina e del “Falerno” del Massico, passando per il “Terre del Volturno” e il “Casavecchia” di Pontelatone , rossi, bianchi e rosati casertani sono ancora testimonianze orgogliose della cultura, del patrimonio, dei valori, degli usi e delle origini di Terra di Lavoro. Quest’ultima, alla luce delle considerazioni appena effettuate ha evidentemente ancora tanto da offrire e raccontare al turista e al cliente europeo, unici target strategici eleggibili dalla trepidante economia locale nel medio e lungo periodo. Senza contare che esiste una folta schiera di vini e vitigni di secondo piano afferenti i monti e le colline circostanti la città di Caserta e i suoi ameni borghi (Casertavecchia, Castelmorrone), che suscitano fuori e dentro i confini regionali non poche curiosità e simpatie sul piano enogastronomico territoriale, mentre regalano altrettante soddisfazioni ai visitatori che vi si imbattono, in occasione di sagre e degustazioni di prodotti tipici locali. L’enogastronomia casertana si configura dunque come un settore ricco di prospettive i cui fecondi risvolti economici sono ancora da mettere a fuoco e rappresentano al contempo una cellula del “Made in Italy” assolutamente degna di nota. Unitamente ai settori dell’automazione, dell’abbigliamento e dell’arredamento, vini ed alimentazione possono ancora delinearsi come una leva operativa utile a sbloccare, almeno in parte, economie arrugginite come quella casertana, purchè trovino accoglimento, buonsenso e riscontro nelle istituzioni. Si tratta di ispirarsi agli esempi di Brescia e Verona che valorizzano incessantemente il patrimonio enogastronomico e culturale della Franciacorta e dei territori a ridosso del fiume Mincio, a partire dalle università. Basti pensare che negli atenei la simbiosi col territorio è talmente sentita e radicata che l’economia politica viene stillata, spiegata e presentata in relazioni diversamente ampie con le potenzialità offerte dai mercati vitivinicoli locali e nazionali. Per finire con gli innumerevoli eventi culturali, fiere, mercatini, mostre, degustazioni guidate, conferenze e spettacoli che vengono settimanalmente organizzati in ogni stagione, tanto nelle città quanto nei borghi medievali (Valeggio S.M). Purtroppo le crescenti opportunità offerte dal patrimonio enogastronomico, artistico e monumentale casertano, per troppi versi inesplorate e sconosciute ai più, sono impantanate in una dimensione ancora stagnante, incapaci di assurgere a volano della crescita locale. La lottizzazione e la divergenza di interessi tra istituzioni, sovrintendenza, politica e università, unitamente al prolasso dell’impiego dei fondi comunitari, allontana progressivamente le risorse locali dall’attenzione di amministratori, camere di commercio, enti pubblici e scuole, che invece dovrebbero massimizzarne l’efficienza allocativa. Tali osservazioni, nonostante i molteplici spunti di riflessione che sono in grado di apportare al dibattito economico e giuridico universitario, non trovano neppure un fugace riscontro nelle indicazioni accademiche, troppo spesso abbandonate alle astratte seduzioni di fatue ed obsolete divagazioni, accartocciate quasi esclusivamente sulle mendaci prospettive dell’arido e fallimentare statalismo, elevato brutalmente a ideologia vincente, come è facile riscontrare in taluni testi di economia ad uso della locale facoltà di giurisprudenza (SUN). Ecco perché le risorse autoctone non riescono a caratterizzare neppure minimamente i contenuti dell’offerta scolastica e formativa avanzata: il patrimonio locale è del tutto ignorato e sottaciuto ab origine, fuoriuscendo così dalla mentalità collettiva e da qualunque orientamento consolidato costruttivo che non sia sorretto dall’utilitarismo legittimo degli imprenditori che rischiano i propri capitali. Del resto la valorizzazione del patrimonio culturale ed enologico locale con le sue virtuose realtà aziendali di cui si compone non passa nemmeno per le tradizionali kermesse estive trite e ritrite di Casertavecchia e dintorni (“Settembre ai Borghi”), purtroppo diseredati dalle istituzioni e dal comune 11 mesi l’anno, invece di diventare suggestive e stabili vetrine dei locali punti di forza. Evidentemente le leadership governative locali prediligono gli eventi “toccata e fuga” conditi dal clamore saltuario od occasionale, anziché impegnarsi a trasformare i borghi in laboratori culturali permanenti protesi a sottolineare, implementare e divulgare i crismi locali. Fino a quando il calcio imprenditoriale, i ripensamenti e le questioni marginali resteranno il fulcro ossessivo dell’attenzione governativa locale, non ci saranno spazi dignitosi e sufficienti ad accogliere progetti giovanili di marketing territoriale, economici, innovativi e, al tempo stesso capaci di innescare sinergie ed esternalità positive in tutta la provincia di Caserta. Non è un caso che taluni dei succitati progetti siano già stati proposti in primavera al vertice amministrativo comunale casertano, senza peraltro riuscire minimamente a scuoterne la sensibilità e l’interesse.
Nando Silvestri www.casertanewseconomia.jimdo.com